Sogni e illusioni


Il bloqueo (blocco stradale di protesta) finisce e posso partire verso Sucre. La vista dal finestrino dell'autobus inizia ad essere monotona tanto e' sempre, immancabilmente uno spettacolare dipinto di montagne colorate e precipizi, sulle pendici dei quali, sfidando le leggi della gravita', i campesinos locali coltivano di tutto.
Arrivo a Sucre e come per magia ritorna il sereno. La capitale NON amministrativa della Bolivia e', a ragione, definita la citta' bianca: passati infatti i soliti sobborghi di case non finite (a quanto pare qui' quasi tutti si fermano al 98% della costruzione perche' l'ICI locale si paga solo a casa ultimata) il centro in una giornata di sole abbaglia. Tutti gli edifici, case o chiese, mercati o gendarmerie che siano, vengono ridipinti di un bianco immacolato ogni 6 mesi. Se non fossi un appassionato del casino irreale di Valparaiso questa sarebbe a mani basse la citta' piu' bella in Sudamerica fin'ora. E' qui, nell'universita' gesuita, che e' nato per primo il sogno della liberta' per l'America latina. Illusione, per meglio dire, visto che la Bolivia e' stata l'ultima ad ottenere l'indipendenza nominale e che per tutta la sua storia, il popolo sudamericano e' stato ben distante dall'essere libero, soggiogato se non dagli spagnoli, dalle dittature militari e dal necolonialismo americano.

Bolivar, Guevara, Belgrano, Allende... quanti sogni, quante illusioni.
(premessa: quella che segue e' una bestemmia, ma mi e' venuto, cosi', un parallelismo strampalato)
Paolo, Arthur, Tom, Katrine... quanti sogni, quante illusioni.

L'ostello in cui alloggio (e in cui ritrovo i soliti noti, l'inglese e le danesi) e', neanche a dirlo, una stupenda vecchia casa coloniale con cortile ombreggiato in cui sollazzarsi tra una passeggiata, una visita al mercato o ad un museo. Carramba che sorpresa, incontriamo per l'ennesima volta gli altri 2 della jeep sull'altiplano, Tom e Amanda, e con loro dividiamo cene a base di prodotti locali: olive, fomaggi di capra, avocado, palma, frutta esotica. Grazie (???) alla vena sempre giocherellona di Arthur, coadiuvato per l'occasione da un messicano di cui non ricordo il nome, una sera finiamo tutti ubriachi marci a ballare salsa in un locale semideserto (e capirai, e' martedi' sera) con l'immancabile mal di testa da record la mattina seguente. Ad Arthur va anche peggio, invischiato in una pseudo love story con una boliviana quindicenne...
Tra una visita alla Casa de la Libertad dove Bolivar dichiaro' l'indipendenza e una camminata al tramonto sulla collina della Recoleta, con le mille luci della citta' che si accendono soto di noi, e' venuto il momento di lasciare Sucre che ci ha regalato tanti bei ricordi e, nel mio piccolo, tante illusioni.

A Cochabamba saluto per la terza e forse ultima volta i compagni di viaggio ma ritrovo con piacere (anche se solo per un pomeriggio) Bea e Gio' (stavolta senza Gesu'). Facce conosciute, discorsi in italiano, condivisione di esperienze insulse (le mie) e commoventi, forti, formative (le loro, lavorando tra cerceri, favelas e comunita' di strada), il tutto seduti su un marciapiede a mangiare 1 kg di gelato dalla scatola, con un bambino rompic...... che ci ronza attorno di continuo: sono momenti come questo che suggellano nuove, vere amicizie che dureranno. O e' solo un'altra illusione?

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