Ritorno a Mandalay



May Thou avra' ad occhio e croce 13 anni. Ha il solito sorriso radioso
sul volto coperto dalla tradizionale pasta thanaka e un moncherino e
una stampella al posto della gamba destra. Rapprasenta alla perfezione
questo paese: povero, sporco, ma che tra mille difficolta' cerca di
tirare avanti con il sorriso. Dopo un gelato alla vaniglia e' scappato
via, ma l'ho intravisto seminascosto in un angolo durante
l'improvvisata jam sassion di strada con i ragazzi tamarri e la
chitarra, a ridere delle nostre stonate.
La maggior parte dei turisti si fa il "rush" delle antiche capitali
intorno a Mandalay (i re birmani avevano l'abitudine di spostare le
capitali ogni 3x2, con grande dispendio di risorse, cosa che hanno
recentemente fatto anche i generali creando dal nulla una scintillante
citta' nel deserto, mentre la nazione arranca nella poverta') in un
solo giorno. A me non interessa "vedere tutto" e inoltre sono passate
oltre tre settimane dall'ultima volta che ho poggiato il culo sul
sellino, quindi decido di visitarne solo una raggiungendola in
bicicletta. Grande decisione: Amarapura. Sebbene non rimanga molto
dell'antia citta' si rivela una destinazione favolosa, grazie al
percorso in bici, che appena usciti dal traffico pazzesco di Mandalay
si fa piacevolissimo, lungo strade alberate e tranquille.
Amarapura e' adagiata sulle sponde di un lago, con il villaggio di
Taunghtaman sull'altro lato. I due abitati sono collegati dall' "U
Bein's Bridge", il piu' lungo ponte pedonale in legno del mondo.
Tutt'intorno pescatori, barcaroli e gente comune che lavora la terra.
Entrambe le imboccature del ponte sono puntellate di piccoli e
graziosi caffe' con veranda e, manco a dirlo, mi posiziono proprio qui
per qualche ora, leggendo un libro nuovo per l'occasione, sorseggiando
una fresca StarCola.
Il tramonto e' eccezionale, non solo per la luce magica, ma anche per
la processione di gente che passa da una parte all'altra del fiume,
tornando a casa per cena.

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