Climate change


(c) Photo Tea Subeliani 

L'inverno arriva abbastanza tranquillo e dolce come spesso a queste latitudini. Non fa mai troppo freddo, almeno in termini di clima. Come emozioni ci sono poche cose piu' deprimenti di pedalare tra i paesini della campagna georgiana in una grigia giornata senza sole in inverno: strade dissestate, alberi spogli, campi bruciati, case di legno che marcisce, cani randagi che si destreggiano tra la spazzatura: e' il modello: 'tutto a Tbilisi, niente fuori' che rende deserte le campagne e meta' della popolazione nella grande metropoli. Le regioni sono sempre piu' abitate da minoranze etniche, gli unici a rimanere quando tutti i 'georgiani' se ne vanno dove c'e' il grano, per poi lamentarsi che 'la Georgia e' uno stato troppo piccolo' mentre viaggiando per il paese appare chiaro che per estensione geografica e' persino troppo grande per una popolazione di 3 milioni di persone che vivono principalmente in 3-4 citta' lasciando il nulla cosmico fuori.

Personalmente Dicembre si trasforma improvvisamente nel mese piu' impegnativo dell'anno dopo lo sblocco del DELTA, tenuto in pausa per via della pandemia. Le mie giornate diventano quindi dominate dal lavoro per terminare questo impegnativo diploma, con sveglia alle 6.30 per le 3 ore che ho allocato per lavorare solo ed esclusivamente a quello. I primi di gennaio completo l'ultima ossevazione e il portfolio da spedire a Cambridge, e mi trovo con un vuoto da riempire in qualche modo. Con le piscine chiuse indefinitamente causa covid, mi concentro un po' sulla corsa e la bici, completando la mia prima maratona in solitaria e migliorando alcuni record personali in sella alla sempre piu' disastrata bicicletta da viaggio. Ecco che poi, 4 giorni dopo la maratona corsa a +18 in uno dei piu' caldi febbraio che si ricordino, ci si sveglia sotto mezzo metro di neve. 

Decido quindi di uscire a correre puntando alle colline appena fuori citta'. La prima parte e' caotica, con milioni di persone che sembrano proprio non riuscire a vivere un singolo giorno senza prendere l'auto, causando oltre alla naturale palcia sulle strade, code e tamponamenti a catena. Una volta ragginto il bivio per il Pantheon e la ripida scalinata verso Mtatsminda, tutto cambia: neve soffice e bianca, solo il rumore dei fiocchi che scendono copiosi per depositarsi pesanti sulle piante che raramente ne han visti. Molte non reggono e si schiantano sul sentiero, constringendomi a elaborate manovre per rimuoverle senza spinarmi ovunque. Mi muovo verso la frazione di Okrokana dove le pensiline elettroniche degli autobus nemmeno fanno finta di aspettarsi un mezzo quella mattina. Tutto e' bianco, tutto e' silenzioso, persino la citta' solitamente visibile e udibile in lontananza e' coperta da una coltre impenetrabile e per un'ora vivo separato da tutto e da tutti: niente traffico, niente pressioni, niente preoccupazioni, niente timori per relazioni in difficolta' o risultati di esami, per il futuro incerto: per la prima volta in tanto tempo infatti, l'incertezza non e' un fattore positivo, perche' in questo caso non mi sento in controllo. Ma per quello ci sara' tempo. Ora ci siamo solo io e la neve.


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