Elegy



Poco più di un mese passa dal mio rientro a casa alla nuova partenza. E questa volta, stranamente, un certo senso di malinconia e tristezza lo sento. La sera prima, scherzando con gli amici di sempre, sulla strada per l'aeroporto e al momento dei saluti, quando l'aereo decolla, mentre in volo passa le nuvole bianche e soffici.
Ci penso e cerco di dare un senso a questa rivoluzione in termini di sensazioni rispetto agli ultimi anni, arrivando a due conclusioni: la prima è il tempo fantastico trascorso con le persone care, più che in anni passati, per una serie di coincidenze. La seconda è, seppur incredibile, che la tristezza non è tanto dovuta al lasciare casa ma al "non tornare" a Karaganda, in Kazakhstan. Sorrido quando penso al primo giorno, 3 anni fa, e a come la vedo oggi. La mia destinazione è questa volta Tbilisi, Georgia.

Ci ero già stato e ne ero stato positivamente impressionato durante il mio viaggio in Caucaso e l'offerta da parte del British Council è, se non finanziariamente, difficile da rifiutare per opportunità, esperienze e curriculum. Ritrovo Tbilisi come me la ricordavo: bella, vecchia e moderna, hipster e culturalmente attiva, uno di quei posti dove potresti perderti per ore a camminare per le viuzze di palazzi decadenti e imbatterti in una cucciolata di gatti accuditi da una vecchia signora, in un ragazzo che suona il piano, in cortili dove gente lava a mano nelle lavanderie, in una pittrice che apporta gli ultimi ritocchi al suo lavoro, in un'ottantenne e un ventenne che giocano a scacchi.

Trovo in meno di 2 giorni un appartamentino piccolo piccolo in una vecchia casa tradizionale, coi vicini che si urlano cose incomprensibili da una finestra all'altra attraverso il cortile drappeggiato di panni e lenzuola stese al sole. Il lavoro è molto impegnativo per i primi due mesi, tutti i giorni della settimana, spesso la sera fino a tardi, con la ciliegina sulla torta di dover organizzare e tenere un corso alla delegazione dell'Unione Europea su come scrivere discorsi e report. In generale quando mi fermo un attimo dalla frenesia degli impegni attraverso un'altalena di emozioni. Spesso sento tristezza, ho dubbi sul futuro e mi faccio domande in continuazione. Altre, come quando in una mattinata di sole corro fino alla collina di Mtatsminda appena fuori città, nel bel bosco con tutti i colori dell'autunno, mi sento vivo e felice come non mai. Il sole ancora tiepido sul volto alla fine di ottobre, la città incasinata lontana, che si può vedere ma a malapena sentire, il battito cardiaco e la brezza, le gocce di sudore e il rumore dei piedi sui rami secchi e le foglie del sentiero.


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